Gestione forestale

 

Nel 1600 l'antico Comune di Torricchio, dipendente dalla Delegazione Apostolica di Camerino, era composto dalle frazioni di Torricchio, Tazza, Capodacqua, Pantana, Laccatti, Colle di Torricchio, Piano di Torricchio e Sorti, che, ancora oggi, costituiscono la Comunanza agraria di Torricchio.

La proprietà Comunale detta "Montagna di Torricchio" era intersecata da alcune proprietà private, e comprendeva anche qualche appezzamento isolato, più o meno prossimo all'abitato.

Su questi beni la popolazione delle suddette frazioni godeva dei diritti di uso civico, regolato dallo Statuto della Comunità, edito in data 29 Giugno 1600. Questo statuto, rintracciato e ricordato dal geom. Arturo Paganelli in una sua pregevole relazione, attraverso 34 articoli disciplinava con una certa capillarità, usando soprattutto la forma dei divieti, le modalità di godimento dei beni comunali e quindi anche l'uso del pascolo e del legnatico.

Il primo articolo oltre ad affermare che "detti huomini et persone di detto Castello habbi la sufficiente bastanza di legno", proibiva alle stesse persone di "tagliar legna nelle selvi comunali di qualsivoglia luogo, vocabulo et confino messe et per il tempo futuro da mettersi in guardia". Guardate o bandite si dicevano tutte le selve protette affinchè, dopo il taglio recente, potessero arrivare a maturazione senza essere danneggiate; sbandate erano invece le selve già mature aperte al libero utilizzo dei cittadini.

Anche il secondo articolo presenta l'interesse di tutelare il "capitale bosco" a favore della collettività, in quanto proibiva di "streppare" o "cavar ceppi nelle selvi comunali".

Come si può notare, in queste due norme non sono tanto specificate le modalità di utilizzo dei boschi, all'apparenza usuali e scontate, ma si tende, forse per problemi contingenti, a sottolineare la conservazione del bene bosco, forse non sempre utilizzato con criterio.

D'altra parte che il taglio della legna fosse nel diritto dei popolani è confermato dalla deliberazione del Consiglio Comunale di Torricchio in data 8 Agosto 1773, con la quale si approvava di "partire la macchia di Costa la Noce" e fu deciso che "li Massari dentro il presente mese vadino a partire detta macchia e ne assegnino una parte per quartiere come solito per il passato". Ciò dimostra che usualmente, una volta "sbandate" e messe al taglio, le macchie venivano ripartite fra i diversi quartieri della Comunità e messe a disposizione degli abitanti senza alcuna limitazione.

Le altre normative riguardano il divieto di pascolo di capre o bestie grosse in coltivi e seminativi, in selve "guardate", in prati falciabili, in arboreti e vigneti, così come vietano qualsiasi tipo di danno arrecato dall'uomo, o dai suoi cani, in tali categorie.

Non si poteva dare inizio allo sfalcio dei prati prima del giorno di San Giovanni, così come la vendemmia poteva svolgersi solo "innanzi la festa di San Michele Archangelo del mese di Settembre", se non avendo una "licentia delli Massari di detto loco, da risolversi per conseglio".

Da Aprile a Novembre alcuni appezzamenti di pascolo erano riservati per li bovi, et altre bestie grosse di detto Castello, con divieto di pascolo per qualsiasi sorte di bestie minute.

Va altresì ricordato che alcuni boschi erano banditi perennemente dal pascolo di capre e pecore dalle calende di Aprile et per insino a tutto il mese di Ottobre, di ogni anno; per le bestie grosse invece il divieto andava solo dalle calende di Aprile sino alla festa di San Giovanni.

Alcune di queste norme di utilizzo a cui abbiamo brevemente accennato si sono tramandate nel tempo come usanza ben consolidata, tant'è che in alcuni documenti successivi si fa riferimento, ad esempio, al diritto di legnare in favore del popolo nella sua piena ed antica osservanza.

Nel 1801, in virtù dell'Editto Pontificio del 19 Marzo, i beni della Comunità vennero incamerati dalla Sagra Congregazione del Buon Governo. La gestione Pontificia, riconoscendo come inveterata consuetudine il diritto di pascere e legnare sui beni incamerati affittò per tre anni parte dei terreni ex-comunali, quali pascolo estivo, a tale Antonio Rosa, al quale venne negato dalla popolazione il pascolo sulle terre dei Particolari (privati). Questo fatto fece si che allo scadere del triennio di affitto la nuova licitazione si rese deserta, poichè il pascolo sui beni ex-comunali, disgiunto dal pascolo dei Particolari, era oltremodo difficile da esercitare.

Nel 1806 i pascoli furono affittati per nove anni agli stessi abitanti del luogo, evitando così il ripetersi degli attriti avvenuti con il primo affitto; nel 1816 entrò quale affittuario tale sig. Paganucci, forestiero, con il quale scoppiarono nuove liti.

Si arrivò così al 1819, anno in cui la Reverenda Camera Apostolica, col pretesto di estinguere i debiti dei Comuni, cedette tutti i beni ex-comunali precedentemente confiscati per 1220 scudi al Sig. Conforti di Camerino, ma con la riserva dei diritti civici che ci avessero potuto vantare le popolazioni. Il nuovo proprietario, annualmente, vendeva i pascoli estivi a terzi per uso del bestiame da "commercio" o maremmano, facendo nascere così una profonda lite con i rappresentanti della Comunità di Torricchio.

In merito a questa controversia si ebbe un rescritto della Sacra Congregazione del Buon Governo che confermò in favore del popolo l'usuale diritto di legnare, mentre per il diritto di pascolo le parti vennero rimesse all'esercizio delle loro ragioni dinanzi al Tribunale competente.

La disputa per il pascolo era tutta incentrata sulla proporzione del bestiame da commercio da immettersi nei pascoli promiscui; non essendo quindi in ballo un pubblico interesse la Sacra Congregazione si reputò incompetente nel decidere sulla questione. La causa fu quindi risolta, a favore del Conforti, dalla sentenza del Tribunale della Sacra Rota pronunciata dal Decano Mons. Bofondi, in data 14 Novembre 1842.

Nel 1843 gli eredi di Conforti Antonio cedettero la Montagna di Torricchio ai fratelli Piscini.

Nel 1845 i rappresentanti della Comunità di Torricchio avviarono una politica di riappacificazione con il nuovo proprietario, pace che fu raggiunta il 25 Agosto del 1847 tramite la stipulazione del "pubblico Istromento", documento notarile di 12 articoli che ridefiniva i rapporti tra proprietario e Comunanza per l'esercizio del pascolo, modificando in parte la sentenza Rotale del 1842 che apportava dei grossi svantaggi ai locali.

Successivamente però anche per il legnatico nacquero delle liti causate sia da alcuni episodi di intolleranza tra i F.lli Piscini e i Torricchiani, sia da tagli di rapina fatti da alcuni locali di Tazza e Capodacqua nelle porzioni di bosco spettanti ai proprietari.

Il rapporto con la Comunanza agraria si incrinò di nuovo sino a quando, nel 1898 vennero riprese le trattative di pacificazione; il signor Luchetti Giovanni, rappresentante della propria moglie Piscini Costanza (cui la montagna di Torricchio era passata in proprietà in seguito a divisione con i fratelli) si accordò con la Comunanza nel ridefinire con precisione quali porzioni di bosco spettavano ai popolani per il loro diritto di legnatico.

Nel 1924, in seguito alla pubblicazione della legge sul riordinamento degli usi civici, si percepisce da parte del Luchetti il desiderio di troncare i rapporti con la Comunanza. A questo scopo nel marzo del 1935 provvide alla liquidazione degli usi civici ai sensi della legge, assegnando alla Comunanza, come corrispettivo della affrancazione, la metà in valore dei fondi gravati da questo diritto.

La proprietà "Montagna di Torricchio" così ridefinita ricadeva approssimativamente all'interno dei confini della attuale Riserva naturale.

Nel 1940, il Marchese Don Mario Incisa della Rocchetta acquista dal Sig. Luchetti il comprensorio detto "Montagna di Torricchio", in funzione e a scopo di sostegno della famosa azienda agricolo-zootecnica Olgiata, sita nei pressi di Roma, anch'essa di sua proprietà.

Il Marchese, per quanto attiene al pascolo estivo, non utilizzò direttamente i prati della "Montagna", ma di anno in anno li affittò alle migliori ditte offerenti a condizioni che: la permanenza del bestiame fosse limitata al periodo che va dal 5 maggio al 30 settembre; che fosse usato il fabbricato come ricovero e la sola legna come combustibile; che la produzione dei prati falciabili fosse a lui riservata, vietando in essi il pascolo sino a che tutto il fieno fosse stato sgomberato. La gestione del patrimonio boschivo, invece, fu molto più complessa.

Il I° comma dell'art. 3 del R.D.L. 2 gennaio 1941-XIX°, n°1, dava facoltà alla Milizia Forestale Nazionale di comandare il taglio di boschi di proprietà privata, ai fini di produrre e "dare al commercio" un certo quantitativo di carbone da essi ricavabile. Lo strumento operativo con cui la Milizia Forestale applicava questa legge era la "Intimazione di taglio"; con tale documento ufficiale si dava obbligo, al proprietario a cui era diretta, di effettuare l'utilizzazione di un certo numero di ettari di bosco per produrre una certa quantità di carbone. Nell'Agosto del 1941 giunsero al neo proprietario le prime Intimazioni di abbattimento per i boschi; furono "requisiti" al taglio circa 3 ettari in zona Costa Bella e 20 ettari in località Pian dell'Asino, con l'obbligo di completare l'utilizzazione e il trasporto del prodotto entro il 30 ott. del 1942.

In questo periodo l'amministratore in "loco", il geom. Raniero Paganelli di Camerino, iniziò le contrattazioni del bosco con alcuni possibili acquirenti alle seguenti condizioni di vendita:

-Bosco di CostaBella- obbligo di lasciare 2/3 delle vecchie matricine, e 100 matricine novelle per ettaro (a gruppi di 5 o 6 per gruppo)

-Bosco di Pian dell'Asino- sono escluse da questo bosco le porzioni tagliate di recente, nonchè le porzioni di bosco dette "posta bassa" e "posta alta", all'uopo segnata con minio ;

Obbligo di lasciare i 2/3 delle vecchie matricine e tante matricine novelle, a gruppi di 5 o 6, quante necessarie per raggiungere il complessivo numero di 100 per ha.

La maggior parte delle ditte contattate dal geometra erano "abituate ed attrezzate per la lavorazione di legname di fustaia in prevalenza - come lo stesso Paganelli scrive nel maggio del 1943 all'amministrazione di Roma - e non erano in grado di poter fare offerte".

Il primo contratto di vendita venne stipulato nel 1945: l'acquirente acquistava a £ 25.000 i tre ettari in località Costa Bella alle stesse condizioni di taglio suddette. Nella primavera del '47 il bosco di Pian dell'Asino, nel versante nord della Val di Tazza, era così ripartito:

A) una porzione recentemente tagliata (di sette, nove e undici anni) e le aree ad alto fusto delle due "poste" ammontano a circa 16.00 ettari;

B) una porzione di bosco di anni 25 e di anni 16 è di 14.00 etari circa;

C) una porzione di bosco di anni 18 e di anni 16 è di 15.00 ettari circa.

In questo periodo venne inviata per la prima volta all'Olgiata una partita di legname da lavoro ricavata dall'abbattimento di vecchie matricine; si trattava di 221 tavoloni di faggio con lunghezze variabili da 1 a 4 metri e con spessori di 6, 7 e 8 cm per complessivi 11,955 mc.

L'anno successivo, e precisamente il 7 luglio del '48, fu venduto al sig. Valeri Nazzareno il taglio del bosco ceduo in località Faito-Valle di Tazza, di circa 20 ettari.

La vendita del taglio presentava molte limitazioni, ed il prezzo fu di £ 1.000.000.

Nella Primavera del '50 l'amministrazione locale atterrò altre 99 matricine mature, 88 faggi e 11 aceri, che segati, vennero inviati all'Olgiata il 21 agosto dello stesso anno. Era chiara quindi la politica di vendere al taglio le porzioni di ceduo da carbone ed utilizzare i rilasci, con tagli a scelta, a favore dell'azienda di Roma.

Nell'ottobre del '51 il Corpo Forestale diede il nulla osta anche per il taglio del bosco della Romita, e per il diradamento di 140 matricine nelle porzioni appena tagliate dal Valeri.

Il bosco della Romita (circa ettari 14.60.00) fu venduto al sig. Carioli Alcide per £ 800.000, mentre il taglio delle 140 matricine "al vocabolo Vaicascio" fu venduto al geom. Sori di Fiastra per £ 180.000.

Nell'inverno del 1951-52 una slavina provocò numerosi schianti lungo il fosso di Monte Rotondo; il legname accumulato nel fondo valle fu venduto per £ 52.000 sempre al sig. Cairoli.

Il 1° ottobre del '64 venne messo all'asta il taglio del bosco denominato "Faiti", ma contrariamente alle aspettative dell'amministrazione non vi fu alcuna offerta ed il bosco non fu più venduto. In quegli anni il Marchese aveva ceduto il 50% della proprietà dell'Olgiata ad una ditta che perseguiva scopi edilizi, riducendo così nettamente la destinazione agricolo-zootecnica dei terreni della azienda; in questo quadro di trasformazione economica il podere montano di Torricchio veniva a perdere la funzione di ausilio per cui era stata acquistata.

Se l'interesse economico per la proprietà di montagna era svanito, di certo il Marchese non aveva perduto la forte passione naturalistica che aveva per essa; egli era comunque intenzionato a cedere la sua proprietà, ma, come scrisse in una lettera inviata al Paganelli, voleva cederla "a mani esperte di gestione di boschi e di prati montani".

Si arriva così al 1970, anno in cui il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, già Presidente del W.W.F. Italia, dona all'Università di Camerino la proprietà della Montagna di Torricchio per finalità scientifiche e conservazionistiche.

Stato 1998; Giandiego Campetella e Lucia Cardona.